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Il personaggio del mese

Intervista a Mario Cucinella, architetto

“Sogno e progetto città sostenibili e rigenerate”

La nuova sede del Comune di Bologna, in piazza Liber Paradisus, porta la sua firma. Oggi con il team del suo studio, che ha sede a Bologna, immagina, disegna e realizza opere d’avanguardia in giro per il mondo: da Algeri a Shangai, passando per l’Albania e Milano.

Si sente come un figlio adottivo ma il suo legame con Bologna è molto più profondo di quel che può sembrare. Alcune delle opere più innovative della città (dalla nuova sede del Comune al futuristico Centro delle Arti e delle Scienze, presentato solo pochi giorni fa), portano la sua prestigiosa firma. Ha acquistato casa alla Bolognina e in quello stesso quartiere ha fissato la sede della sua scuola della sostenibilità, un laboratorio di ricerca per indagare i temi del costruire e del vivere sostenibile. Mario Cucinella, 56 anni, è uno degli architetti più famosi e visionari sia in Italia che nel mondo. La nuova sede del Comune di Bologna, in piazza Liber Paradisus, porta la sua firma. Oggi con il team del suo studio, che ha sede a Bologna, immagina, disegna e realizza opere d’avanguardia in giro per il mondo: da Algeri a Shangai, passando per l’Albania e Milano. Il tutto seguendo il filo conduttore della sostenibilità e della rigenerazione urbana, la vera sfida che non solo l’architettura, dovrà affrontare nei prossimi anni, per immaginare un’idea diversa di futuro.

Architetto, partiamo da uno dei suoi ultimi progetti: la School of Sustainability. Qual è lo spirito di questa iniziativa e quali i suoi obiettivi?

Diciamo che lo spirito con il quale abbiamo deciso di dare vita a questo laboratorio è quello di fornire ai giovani architetti la formazione necessaria per affrontare le sfide ambientali dei prossimi decenni accanto a quello della responsabilità sociale. Noi crediamo di aver elaborato una buona conoscenza, attraverso il nostro impegno, su questo tema. SOS è un luogo di scambio aperto a giovani creativi e ricercatori, professionisti e imprese del settore per sviluppare progetti innovativi per un impatto positivo sulla società, l’economia e l’ambiente, attraverso la ricerca e la sperimentazione. Questi saranno temi decisivi per i prossimi decenni.

Alcune delle opere più innovative a Bologna portano la sua firma. Qual è il suo legame con la città?

Mi sento come un figlio adottivo. Anche se non sono nato qui credo di aver avuto delle opportunità molto importanti da Bologna. È una citta accogliente e ha degli aspetti positivi che magari non tutti riescono ad apprezzare perché hanno sempre vissuto qui. Bologna è una città dinamica, al centro dell’Italia, in una posizione strategia. Diciamo che ci siamo fatti adottare molto volentieri.

Lei vive alla Bolognina. Un quartiere che, soprattutto negli ultimi mesi, è stato al centro della cronaca cittadina per i problemi legati a criminalità e degrado. Che idea si è fatto del suo quartiere?

Innanzitutto non credo affatto che sia un luogo periferico della città, anzi. È una parte di città perfettamente integrata con le altre. Sì, certo, negli ultimi mesi c’è stata parecchia attenzione riguardo ad alcuni episodi di micro criminalità, ma credo che in termini statistici non siano poi tanto differenti da quelli di altri quartieri. Credo che si sia fatto tanto clamore per nulla. Né io e né i miei collaboratori ci sentiamo di vivere in un ambiente difficile, anzi. Il contesto di vivibilità è molto alto, c’è un alto tasso di multiculturalismo, integrazione, e le persone vivono tranquillamente la loro quotidianità. Il vero problema è rappresentato dai fenomeni urbani. E il punto sta nel capire come e perché nascono.

La rigenerazione delle periferie, assieme all’idea di sostenibilità, sono sempre state al centro della sua attività. Crede che a Bologna in questo momento sia necessario un intervento di questo genere? E se sì, quale consiglierebbe?

Credo che Bologna abbia fatto in tempi non sospetti una grande opera di rigenerazione urbana. Qui si è fatta la storia dell’urbanistica ed è davvero difficile parlarne in modo negativo. C’è però un aspetto che vale la pena essere sottolineato. Ovvero quello di non aver ancora affrontato e risolto temi importanti come la riqualificazione delle ex aree ferroviarie e militari, il progetto al Navile, la sfida di Eataly. Una mancanza magari legata soprattutto all’economia che stenta a ripartire piuttosto che ad errori specifici della politica. Certo, però, è che tutte queste sfide non possono essere affrontare con strumenti vecchi ed inadeguati. Serve sì una nuova visione urbanistica ma soprattutto risorse e una legislazione capace di portare a termine queste sfide.

Eppure molto spesso è la politica a chiedere aiuto agli architetti per portare a termine questi progetti, dandogli spesso tutta la responsabilità di certe scelte.

A mio avviso il tema non sono gli architetti, che restano senz’altro coinvolti, ma ci deve essere più ascolto da parte della politica che oggi fa davvero fatica ad avere una visione dell’idea di città, uno sguardo d’insieme e univoco su quello che sta per arrivare, sulle nuove sfide che saremo chiamati ad affrontare. C’è bisogno di un laboratorio di dialogo del futuro. Per farlo serve la collaborazione di tutti, non solo degli architetti, ma di chi riesce a guardare e progettare un’idea di futuro, non di subirla.

Una visione che sembra essere il filo conduttore anche del libro e della mostra che ha inaugurato il 17 novembre a Milano, intitolato “Empatia Creativa”.

Esattamente. La mostra che si intitola ‘Empatia Creativa. Milano Metropolitana: cinque cantieri di Mario Cucinella Architects’ è stata realizzata per spiegare e far conoscere i 5 grandi cantieri che stiamo realizzando nel capoluogo lombardo: il grattacielo Unipol nel cuore della finanza milanese, il nuovo polo chirurgico dell’ospedale San Raffaele, la Città della salute ricerca, il museo sull’arte etrusca e la nuova sede di COIMA. Milano è una città che sta investendo molto sull’architettura e sulle trasformazioni. La mostra racconta questi cinque visioni e la storia dei committenti che hanno capito che l’architettura può essere una strada per governare il nostro futuro. Credo che l’empatia creativa sia proprio il mezzo per superare il tema della globalizzazione. D’altronde, capire le persone e i luoghi è il fine dell’architettura.

Ha acquistato casa alla Bolognina e in quello stesso quartiere ha fissato la sede della sua scuola della sostenibilità, un laboratorio di ricerca per indagare i temi del costruire e del vivere sostenibile.